Omicidio, maschicidio o femminicidio? De iure condendo…

E’ giusto e doveroso parlare di Femminicidio?

L’Omicidio “(anche assassinio, uccisione, liquidazione o delitto) è la soppressione di una vita umana a opera di un altro essere umano”.

A darci questa lapidaria ma chiarissima definizione è, banalmente, internet o meglio Wikipedia.

Volendo essere più rispettosi della nostra tradizione linguistica, la parola “omicidio” deriva da – Homo, che in latino non fa alcuna distinzione di genere, maschile o femminile.

Il primo caso documentato di omicidio, nella storia dell’umanità, risale a ben 430.000 anni fa.

La vittima fu accertato essere stato uno dei primissimi abitanti dell’odierna Sierra di Atapuerca, in Spagna.

Da secoli si parla di omicidio e mai nessuno ne ha fatto una questione di genere!

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Evidentemente la società cambia o degenera, a seconda dei punti di vista ed il trasformismo del legislatore non conosce limiti.

L’evento umano di omicidio è punito, nel nostro ordinamento dall’art. 576 del codice penale fin dal l 1930.

E prevede una serie di numerose circostanze aggravanti, molte delle quali fanno sì che la pena, in caso di condanna, sia quella dell’ergastolo.

Si pensi, ad esempio, ad un fatto omicidiario commesso durante una violenza sessuale anche tentata od un maltrattamento in famiglia.

Si parla in questi casi di “reato complesso”, ossia un omicidio particolarmente grave ed esecrabile che giustifica la pena massima a livello edittale.

Esiste poi la giurisprudenza, oltre alla legge.

Annotiamo la sentenza della Corte Costituzionale n. 2, depositata il 17 gennaio 2025, con la quale la Consulta ha deciso sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Assise di Cassino in riferimento all’art. 438, comma 1-bis, c.p.p.

Ossia se sia corretto, a livello costituzionale, non concedere il rito abbreviato (e quindi il noto sconto di pena di un terzo) in caso di omicidio aggravato con pena edittale dell’ergastolo.

Secondo la Corte remittente la disposizione censurata contrasterebbe, innanzi tutto, con gli artt. 3 e 27 Cost., perché il legislatore avrebbe irragionevolmente dettato una medesima preclusione processuale per ipotesi diverse, quali quelle riconducibili a fattispecie autonome di reato punite con la pena dell’ergastolo (è addotto a tertium comparationis il delitto di strage di cui all’art. 422 cod. pen.) e quelle inerenti a fattispecie che pervengono a tale sanzione – come nel caso di cui al giudizio a quo – unicamente in ragione della contestazione di circostanze aggravanti.

La Corte Costituzionale ha chiuso la questione respingendo le doglianza.

Vi sarebbe proporzionalità rispetto alla gravità del fatto omicidiario.

Esiste anche l’aggravante della crudeltà a dare al fatto uno spessore più grave e consistente.

L’art. 577, comma 1, n. 4, c.p., attraverso il rinvio a quanto stabilito nell’art. 61, n. 4, c.p., tra le aggravanti che comportano la pena dell’ergastolo, include l’aver adoperato sevizie e di aver agito con crudeltà verso le persone.

Detta circostanza aggravante ricorre quando le modalità della condotta rendono obiettivamente evidente la volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell’evento e costituiscono un quid pluris rispetto all’attività necessaria ai fini della consumazione del reato, rendendo la condotta stessa particolarmente riprovevole per la gratuità e superfluità dei patimenti cagionati alla vittima con un’azione efferata, rivelatrice di un indole malvagia e priva del più elementare senso di umana pietà

Non vi è alcun bisogno di coniare norme sostanziali nuove, se non per esigenze politiche e non di politica criminale (si badi bene) che dovrebbero essere avulse dal modus procedendi del legislatore in subiecta materia.

Vi sarebbe un’altra necessità.

Banale, ma non scontata.

Quella di far sì che quando viene presentata una denuncia con richiesta di misure cautelari, queste vengano subito vagliate dal magistrato e, se ne ricorrono i presupposti, applicate, senza ritardo!

Solo così si prevengono più efficacemente gli omicidi, gli assassini brutali di essere umani, molto spesso collegati a passioni mal controllate o propriamente patologiche.

Cambiare il nomen iuris ad un fatto (peraltro già punito adeguatamente) non risolve affatto il problema, dà solo una falsa percezione, arrecando inutili oneri agli operatori del diritto, chiamati così ad aggiornare i loro codici almeno ogni 6 mesi.